Ultimo aggiornamento il 31/01/2022
Perché si dice “fare il bucato”?Fare il bucato è una delle frasi più usate nella nostra lingua eppure è una di quelle esperssioni che, se considerata letteralmente, pare non avere molto senso.
Perché i panni, la biancheria non hanno apparentemente nessun collegamento con la parola bucato e men che meno niente di bucato!
Allora perché si dice fare il bucato? Tutti lo diciamo, anche i media usano questo termine, ad esempio nelle pubblicità di detersivi e affini .
Leggendo nel web e curiosando nella storia della lingua italiana, come sempre si trovano diverse spiegazioni, tutti possibili e credibili.
Le origini
La spiegazione più diffusa è che la parola “bucato” nasca da una lingua antica, il francone, di origine germanica, che usava il termine “bukòn” con il significato di lavare. Niente a che vedere dunque con il verbo bucare. Spiegazione alquanto logica e attendibile.
Nella storia delle nostre tradizioni però viene attribuito il modo di dire “fare il bucato” agli antichi metodi di lavaggio, quando ancora non esistevano le comodissime lavatrici e spesso nelle case lo spazio non era sufficiente ( o acqua!) per lavare. Si andava dunque nei lavatoi o al fiume per lavare con sistemi ben diversi da quelli attuali per lavare, sciacquare e strizzare i panni.
Diversi secoli fa pare che chi lavava i panni li riponesse in un grosso catino di legno ricoperto da un telo bucato ( letteralmente con i buchi) . Versando sopra acqua e cenere, detta livia e usata per lavare, filtrava la cenere solida e lasciava passare solo la parte che puliva.
Un’altra spiegazione risale a qualche secolo più avanti quando i catini in legno erano dei mastelli con un buco e un tappo sotto, cosi che riponendovi i panni lavati e molto bagnati, l’apertura del tappo facesse scorrere l’acqua in eccesso evitando la fatica della strizzatura a mano.
Questo accorgimento diminuiva anche il peso del mastello pieno di panni e acqua. Un rudimento tecnico che ricorda in fondo il lavoro delle odierne lavatrici.
Fare il bucato, i lavandai di un tempo
In molte città d’Italia il lavoro dei lavandai fa parte della storia e si ritrova spesso in luoghi dove ancora esistono lavatoi e attrezzi usati un tempo. A Milano in particolare esiste il Vicolo dei Lavandai, presso l’area dei Navigli, vicino dunque ai canali e non a caso. In questo stretto vicolo un tempo scorreva un piccolo ruscello che volgeva al Naviglio Grande e su cui fu costruita una tettoia sotto la quale i lavandai si recavano a fare il bucato ( in milanese la bugada).
La tettoia oggi è ancora presente e ben visibile, accanto ad uno storico ristorante, il Brellin, un tempo il negozio dove si vendevano saponi e materiale per il lavaggio. La parola “brellin” infatti si riferiva ad una piccola cassa in legno che si ricopriva di paglia che veniva usata dai lavandai per riparare le ginocchia che altrimenti sarebbero state a lungo sulle pietre.
Un’ultima curiosità: un tempo il bucato lo facevano gli uomini, i lavandai, considerati più forti e adatti al tipo di lavoro; poi ne tempo il lavoro passò alle donne e oggi a tutti. Ecco perché il vicolo è Dei Lavandai e non delle lavandaie.
Detti milanesi
Da questa antica tradizione di fare il bucato sono nati molti detti milanese/lombardi come “La cattiva lavandera no troeuva mai la preja bòna” ( la cattiva lavandaia non trova mai la pietra buona ( su cui inginocchiarsi), come a dire che se una persona non ha voglia di lavorare trova sempre qualcosa che non va. Mandatelo a qualcuno a cui volete passare questo messaggio in modo scherzoso; scaricate l’immagine qui sotto:
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Da sempre nel mondo del turismo, eventi, incentive e convention. La passione per la realizzazione dei giochi enigmistici è cresciuta nel realizzarli in modo personalizzato per gli eventi aziendali